La parrocchia

LA STORIA DELLA PARROCCHIA

Non si hanno notizie precise e attendibili sull’epoca della sua costruzione. La data 1589 incisa sull’architrave del portale è da considerarsi come quella dell’ampliamento o dei restauri nel sacro edificio. Certo è che la chiesa dedicata al Santo esisteva già prima di tale periodo: ciò lo si può desumere non solo da un attento esame della struttura architettonica nel suo complesso, ma anche dai registri della Cancelleria Angioina che riportano dati e avvenimenti relativi all’abitato di Sant’Elia collocabili tra gli anni 1265-1277. I predetti documenti testimoniano l’esistenza di Sant’Elia quale centro urbano fin dalla metà del secolo XIII e come tale il toponimo fa supporre la presenza di una chiesa omonima, perché, seguendo il Masciotta “… come tutti i Comuni con i nomi di Santi anche Sant’Elia deve ripetere il proprio da qualche antica cappella dedicata al Santo omonimo”. Sant’Elia all’epoca suindicata non solo era un borgo ma anche un dominio feudale. Le prime notizie certe sulla edificazione dell’attuale Chiesa, che in parte è sorta sulle mura di quella antica, risalgono al secolo XVI, epoca in cui, si presume, la vecchia struttura risulta insufficiente per l’accresciuto numero degli abitanti. Ancora oggi si possono intravedere, specie alla base della torre campanaria, i resti della chiesa antica che doveva sorgere al centro del borgo medioevale di Sant’Elia, caratterizzato da viuzze strette e da povere dimore di contadini accostate le une alle altre. Altri documenti ci informano che la Chiesa fino al 1565 godeva di circa quattromila ducati di rendita per decime derivanti da circa ventiduemila “moggia” di terreni. Doveva essere davvero importante se nel volgere degli anni – e precisamente nel 1743 – il Cardinale Landi, Arcivescovo di Benevento, concesse ai canonici della suddetta chiesa il diritto di indossare la cappa rossa, analoga a quella in uso nella Badia di S. Spirito a Benevento. Attualmente l’interno del sacro edificio, diviso in tre navate, misura ventidue metri di lunghezza , sedici di larghezza e sedici di altezza. La chiesa è stata consacrata il 1 novembre 1690 dal Card. Vincenzo Maria Orsini, divenuto in seguito Papa Benedetto XIII. Nei quattro archi della torre campanaria sono sistemate quattro campane. Dall’Inventario dell’anno 1713 della chiesa arcipretale sappiamo che il 13 luglio 1692 venne benedetta la campana più grande, del peso di circa 10 quintali. Le altre tre campane, benedette nel 1690, avevano un peso rispettivamente di 400 kg, 100 kg e 60 kg. Nessuna delle campane allora esistenti è arrivata sino a noi. Dall’epigrafe scolpita sull’attuale campanone si apprende che cadde dalla torre campanaria e, gravemente danneggiata, venne nuovamente fusa nel 1836. Nel 1952 vennero rifuse le due campane intermedie, dal peso una di circa 4 quintali e l’altra supera di poco i 2 quintali. La campana più piccola, rifusa per ben due volte, nel 1872 e nel 1952, ha un peso di un quintale.

LA STORIA DEL PROFETA SANT’ELIA

Elia (il cui nome significa «il mio Dio è Jahvè») nacque a Tisbe, verso la fine del X sec. a.C. e visse sotto il regno di Acab, che aveva imposto il culto del dio Baal.
Egli tornerà negli ultimi tempi come precursore dell’anticristo a predicare e convertire il popolo ebraico, ed allora, secondo la tradizione, verserà il suo sangue nella città di Gerusalemme.
Elia è il profeta del Dio vivente. Si tratta di uno dei più grandi uomini dell’Antico Testamento: è colui che sta alla presenza del suo Dio ed è divorato dallo zelo per la Sua gloria. Le parole che si leggono nel primo libro dei Re “Sono pieno di zelo per il Signore Dio degli eserciti” (1 Re 19,10) riassumono il tratto essenziale della sua fisionomia – il cui simbolo è il fuoco (Sir 48,1) – che si delinea con straordinaria vivacità nel Testo sacro. Uomo virtuoso e austero, affrontò Achab, settimo re di Israele, e la regina Iezabele, che avevano pervertito il popolo trascinandolo nell’idolatria, per mandare a morte i 450 profeti di Baal che confuse sul Monte Carmelo e per annunciare al re, impossessatosi della vigna di Naboth, che sarebbe stato ucciso, e, alla regina, che il suo sangue sarebbe scorso ove era scorso il sangue di Naboth e i cani avrebbero divorate le sue carni. Per tutti questi motivi, Elia fu perseguitato dagli Israeliti, da Achab e da Iezabele e dovette fuggire sul monte Horeb per scampare alla morte. Quando più tardi Ochozia, figlio di Achab, divenne re, Elia gli fece dire di non consultare Belzebu, il dio di Accaron, come aveva intenzione di fare, ma il Dio d’Israele. Ochozia allora gli mandò un capitano con cinquanta soldati per indurlo a scendere dalla montagna e rendergli conto delle sue parole. Elia rispose al capitano: “Se io sono un uomo di Dio, scenda dal cielo un fuoco che divori te e i tuoi cinquanta”. E scese il fuoco e divorò lui e i suoi cinquanta uomini. Più tardi, Elia andò verso il Giordano con Eliseo, e allorché ebbero attraversato il fiume, un carro di fuoco con cavalli di fuoco separò l’uno dall’altro, ed Elia salì al cielo in un turbine. Eliseo allora si rivestì del mantello che Elia aveva lasciato cadere e ricevette doppiamente il suo spirito. Il doppio spirito che Elia lasciò ad Eliseo si trasmise agli eremiti dell’Ordine religioso del monte Carmelo, il cui stemma – in forma di scudo – rivela la sua origine “eliana”. Esso, infatti, è sormontato da un braccio con una spada di fuoco e un nastro con una citazione biblica. Il braccio è quello di Elia, che tiene una spada di fuoco, e il nastro porta l’iscrizione “Zelo zelatus sum pro Domino Deo exercituum”. Il braccio e la spada mostrano la passione ardente di Elia per l’assoluto di Dio, la cui “parola bruciava come fiaccola” (Sir 48,1). Per i Carmelitani, Elia è il profeta solitario che coltiva la sete dell’unico Dio e vive alla Sua presenza. Come lui, essi portano “la spada dello spirito, che è la Parola di Dio” (Regola Carmelitana n. 19) ed è per essi modello di azione, ma soprattutto maestro di orazione e di contemplazione. L’apostolo san Giacomo, nella sua Epistola, ci propone come modello di preghiera l’orazione fervorosa e potente del santo patriarca Elia, che ottenne da Dio prima la completa siccità sui campi d’Israele per tre anni e sei mesi, e poi l’abbondanza della pioggia. Alla sua preghiera i morti risuscitarono; il fuoco cadde dal cielo per tre volte in punizione degli idolatri; sul monte Oreb, il Signore si manifestò per mezzo del venticello leggero; sul monte Carmelo apparve la piccola nube, simbolo misterioso della Vergine Maria, Madre di Dio. Sant’Isidoro afferma che tutte le azioni della vita di Elia non furono che un’orazione continua, da cui nacque la famiglia dei contemplativi del Carmelo. Alla fine della sua terrena esistenza, fu il fuoco nella forma di carro e cavalli che rapì il profeta Elia trasportandolo in un luogo ignoto.
Sant’Elia sarà dunque predicatore e apostolo di Gesù Cristo nei tempi futuri, quando l’anticristo perseguiterà la Chiesa di Dio, secondo il capitolo 17° del Vangelo di san Matteo, in cui Nostro Signore Gesù Cristo stesso dice che Elia verrà e ristabilirà ogni cosa: Elias quidem venturus et restituet omnia, perché allora, come ha profetizzato Malachia, egli comparirà come precursore del secondo avvento di Gesù Cristo nel mondo.
Contro l’efficace predicazione di Elia e di Enoch, che conquisterà Giudei e Gentili, si scatenerà la rabbia infernale dell’anticristo il quale tenterà di ucciderli: cosa che Dio permetterà, per aggiungere alla loro corona la palma del martirio. Secondo numerosi Padri ed altri importanti autori, questi due ultimi apostoli saranno messi a morte in Gerusalemme come il nostro divin Redentore, ed i loro corpi, gettati sulla piazza, resteranno senza essere sotterrati per tre giorni e mezzo, secondo la profezia di san Giovanni nell’Apocalisse (cap. 11); ma, trascorsi questi tre giorni e mezzo, i due Santi risusciteranno gloriosi e saliranno al cielo in anima e corpo, in una nube luminosa, sotto gli occhi dell’anticristo e dei suoi sostenitori.
Alla morte di Enoch ed Elia seguirà subito la disfatta dell’anticristo, perché – secondo Tertulliano – questi due apostoli degli ultimi tempi “sono riservati per distruggere l’anticristo con il loro sangue”.
L’ardore di questo santo di fuoco, definito dal Crisostomo “angelo della terra e uomo del Cielo”, che fu portato nel luogo del suo misterioso soggiorno da quel fuoco su cui aveva esercitato uno speciale potere sulla terra, ha fatto di lui una sorta di “uomo eterno” che attende l’ora di Dio per incendiare il cuore degli uomini col fuoco del divino amore. Nel luogo in cui vive con Enoch, Elia si prepara alla sua missione finale. Poiché fu il primo devoto della Vergine Santissima, si crede che egli trascorra questo tempo nell’imitazione di Colei che ebbe lo speciale privilegio di vedere adombrata nella misteriosa nuvoletta e che amò con ammirabile anticipazione. È alla scuola della Madre di Dio che il Profeta degli ultimi tempi si prepara ad affrontare l’anticristo, attendendo due cieli: il cielo della terra, dove verserà il suo sangue, e il Cielo dei cieli, dove godrà, infine, della visione di quel Dio la cui gloria ha zelato con impareggiabile ardore. Il profeta Elia, che attendiamo secondo le profezie scritturistiche, è fin d’ora un modello di azione e di contemplazione, di fede e di speranza, di amore incandescente all’unico vero Dio e di totale rifiuto del compromesso con l’errore. Infine il santo Profeta e Patriarca invita tutti alla generosità più estrema nel servizio di Dio, quella generosità che lo farà tornare sulla terra a versare il suo sangue per il quale ha anticipatamente meritato il titolo di martire. L’opera di riedificazione spirituale, tanto faticosamente iniziata, venne portata avanti con pieno successo dal suo discepolo Eliseo, al quale comunicò la divina chiamata mentre si trovava nei campi dietro l’aratro, gettandogli sulle spalle il suo mantello. Eliseo fu anche l’unico testimone della misteriosa fine di Elia, avvenuta verso l’ 850 a.C., su un carro di fuoco.

LA FIGURA E LA STORIA DI FRA RAFFAELE

Il Venerabile Padre Raffaele da Sant’Elia a Pianisi, al secolo Domenico Petruccelli, è nato a Sant’Elia a Pianisi (CB) il 14 dicembre 1816 da Salvatore e Brigida Mastrovita. Nei primi anni della giovinezza, Padre Raffaele coltivava nel cuore il desiderio della vita consacrata e diventare un religioso nell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini. Il 10 novembre 1834, vestì l’abito cappuccino nel noviziato di Morcone. Un anno dopo, il 10 novembre 1835, consacrò per sempre la sua vita al Signore, con i voti dei consigli evangelici. Svolse il suo percorso di studi nei conventi di Agnone (1836), Serracapriola (1837), Bovino (1838) e Larino (1839), dove, il 29 marzo 1840, venne ordinato sacerdote. Nel 1852 venne nominato maestro dei novizi a Morcone. Nel 1857, a Campobasso, presso la chiesa della Madonna della Libera, visse anni di intenso e fecondo apostolato: tutti i fedeli che si rivolgevano a lui, restavano ammirati dalla testimonianza umile e semplice di Padre Raffaele, che iniziò ad essere chiamato il “monaco santo”. Fu ricercato quale direttore spirituale e confessore, e, nello stesso periodo, iniziarono le prime manifestazioni di fatti straordinari: alcuni confratelli lo videro elevarsi in estasi, parlare con la Vergine Maria “con voce alta e con confidenza di figlio”. Intenso, durante questa sua permanenza a Campobasso, fu il suo servizio a favore dei carcerati e dei moribondi della città. Nel 1865 fece ritorno al suo paese natale, Sant’Elia a Pianisi: furono gli anni duri della soppressione degli Ordini religiosi. A Padre Raffaele venne concesso dalle autorità civili di continuare a vestire l’abito cappuccino, e insieme ad un confratello, di vivere in un’ala del convento, unico caso in tutta la Provincia religiosa di Foggia. Questo periodo critico servì da incentivo alla vita consacrata di Padre Raffaele, che rimase un valido riferimento per i suoi concittadini, e per tutti coloro che lo avevano incontrato e conosciuto nei conventi nei quali aveva dimorato, e che a lui continuavano a rivolgersi per il suo illuminato consiglio e la sapiente guida che riusciva a offrire nella vita umane e di fede. Nel 1886, nella fase successiva alla soppressione religiosa, riportando ordine nella Provincia Monastica, Padre Raffaele tornò a Morcone, convento nel quale le attività furono affidate ai frati cappuccini della Toscana, ed egli fu l’unico frate della Provincia religiosa di Foggia a rimanere nel noviziato, così i giovani frati potettero crescere all’ombra di un tale esempio di consacrazione e di santità. Il 18 settembre 1900, accolto con trionfo e devozione, Padre Raffaele tornò a Sant’Elia a Pianisi, per concludere la sua vicenda terrena e per l’abbraccio con “sorella morte”. La sera dell’Epifania del 6 gennaio 1901, dopo una lunga esistenza segnata da un’intensa vita spirituale e dalla penitenza, Padre Raffaele serenamente nacque eternamente in cielo.
Il 26 aprile 1936 il teschio di Padre Raffaele, unica delle sue spoglie mortali, viene traslato dal cimitero nella chiesa del Convento. Nel 1949 viene avviata la Causa di Beatificazione e Canonizzazione. Il 17 giugno 2006, in occasione del 190° anniversario della nascita di Padre Raffaele, è avvenuta la chiusura ufficiale del processo diocesano sulla vita, le virtù e la fama di santità del Servo di Dio. Il 6 aprile 2019 Padre Raffaele è stato dichiarato Venerabile.